“Turista per gioco”

testo in catalogo di Vasco Ascolini

“Turista per gioco”

Hic et nunc. Qui ed ora, sono avverbi, paradossalmente, non applicabili a queste immagini di Cesare Di Liborio. Direi piuttosto che vi si addice un avverbio altro: “altrove”. Questo perché, l’altrove non è necessariamente il luogo esotico, il distante, l’oltre i confini, il fuori territorio. Può essere invece un minimo mondo ampliato dal nostro immaginario, dal nostro desiderio di viaggiare oltre la quotidianità ma nel quotidiano. Il viaggio attorno al gioco, l’essere testimone di un mondo intimo e minimale è l’oggetto-soggetto della fotografia di Cesare.

Esse sono la messa in carta del giornaliero tentativo di evadere, appunto, dalla quotidianità. Il suo è il mondo del viaggiatore che torna, vorrei dire, come egli stesso dichiara, del “turista per gioco”.

Dopo avere seguito il nascere di queste cinquanta immagini, di volta in volta ho capito che egli stava scrivendo un diario per immagini. Sono, queste, la rivelazione del suo pur breve passato (ma noi sappiamo bene che la durata del tempo è scandita dagli avvenimenti contingenti) ed il desiderio di un futuro che, forse, sarà sempre un “viaggio attorno ad una stanza”.

Viaggio minore, di minime sensazioni, di un passato vissuto con la nobiltà della nostalgia. Una fotografia non aggressiva, arrogante o falsamente povera. Cesare è il bambino colpito da un taglio di luce, è l’altro per mano alla madre, è uno dei viaggiatori del metrò nel primo gruppo di queste immagini.

E’ il pioniere dello Zeppelin, il pilota dell’aereo d’alluminio, il comodo passeggero dell’airbus di latta. Il suo viaggiare è intorno al mappamondo di un tempo fantastico dove il premio era la caramella ELAH.

Certamente il cinema ha influito sul suo immaginario e questo si rivela in particolare nella terza parte di questo dolce viaggiare: il mare che non si vede ma che si immagina dietro felliniani “bagni”: Paradiso, Tirreno, Oceano! Ogni possibilità di vederlo è censurata da palizzate. Quando però si rivela è un mare minore, duecento metri di spiaggia, giochi dimenticati di una stagione compromessa. Forse in questo mare, meglio in un mare come questo, Fellini avrebbe potuto fare passare il “suo” Rex. Le nuvole e i cieli non riguardano il cinema di J. Ford, ma coprono bagnanti che non saranno mai “stelle”, di niente e di nessuno, ma impiegati che domani prenderanno quei mezzi modesti e ripetitivi, ma ricolmi di immaginari impossibili, e non per questo meno affascinanti.

C’è in questa serie di fotografie, un ritorno ad un ordine anche formale che può apparire facile approccio al reale, ma che, invece è ricerca, distruzione del reale, ricostruzione immaginifica.

Della tecnica non voglio dire oltre quello che si vede: mi pare di buon livello e comunque di così minore importanza rispetto al messaggio.

Reggio Emilia,   4 dicembre 1995                                                                           Vasco Ascolini